Ieri, domenica 21 luglio 2024, Joe Biden, dopo le difficoltà incontrate nel tenere testa la rivale Donald Trump durante i primi tempi della campagna elettorale, ha annunciato il suo ritiro dalla corsa a Presidente, designando la sua vice, Kamala Harris, come potenziale successore.
Ma la candidatura della Harris è ancora tutt’altro che certa con le varie correnti Dem che faticano a trovare un accordo che non scontenti nessuno all’interno del partito. Una cosa però dovrebbe essere certa: a guidare la compagine democratica sarà una donna, anche se va ancora stabilito quale.
Oltre alla Harris, in pole dopo la benedizione di Biden, in corsa ci sono anche Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan, e anche se nettamente più defilata, la ben più nota Michelle Obama. Molto più indietro si collocano Gavin Newsom, governatore della California, e Pete Buttigieg, attuale segretario ai Trasporti.
L’ufficialità, in ogni caso, difficilmente arriverà prima del 19 agosto, quando i delegati dei Dem si incontreranno a Chicago per decretare definitivamente lo sfidante di Trump a novembre.
Qualsiasi sia la candidata che affronterà i repubblicani è destinata a partire in svantaggio: Trump negli ultimi mesi è riuscito a guadagnare terreno in tutti i cosiddetti “swing states”, ovvero gli Stati più in bilico a livello elettorali, essenziali per la vittoria di qualsiasi candidato. Inoltre l’attentato sfumato all’ex presidente ha contribuito a rafforzare ulteriormente la sua posizione anche grazie ad una notevole campagna di comunicazione sui social che sta portando dalla sua parte una buona percentuale di indecisi, attirando su di sé la solidarietà che un evento del genere non può che riaccendere in uno Stato pioniere della democrazia. Ma i giochi non sono certo ancora fatti: da qui a novembre mancano ancora più di 3 mesi e tutto può ribaltarsi in un’elezione che mai come oggi polarizza gli USA. A venire in soccorso di Kamala potrebbero essere le minoranze etniche, notoriamente poco propense al voto, che si potrebbero sentire più rappresentate grazie ad una candidata facente parte anch’ella di una minoranza. Di contro sarà più difficile per i Dem convincere gli indecisi bianchi, che potrebbero preferire un candidato che li faccia sentire maggiormente al centro del loro programma come la compagine di Trump.
Se, come sembra più probabile, sarà la Harris a spuntarla sugli altri candidati, sarebbe la seconda volta che contro Trump corre una donna, dopo il successo di misura ottenuto contro la Clinton nel 2016: che sia la volta buona per vedere il lavoro più prestigioso al mondo svolto da una donna? La strada è in salita, ma il traguardo non è irraggiungibile. Quel che è certo è che se accadesse sarebbe un messaggio chiaro per le donne non solo statunitensi, ma anche del resto del mondo, la parità non è mai stata così vicina.
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