34 aggressioni in un mese. Questo il triste bilancio degli attacchi contro i medici negli ospedali italiani. Numeri a dir poco sconfortanti che hanno scosso fortemente non solo i sindacati, ma anche l’opinione pubblica, in genere ben disposta verso i custodi della nostra salute. Intanto in Puglia, 2 delle ultime aggressioni sono avvenute a Foggia, il primario minaccia addirittura la chiusura del policlinico se non si riuscirà a tornare ad atteggiamenti più civili.
Ma da cosa deriva questo fenomeno? In generale la situazione di grave apnea della sanità pubblica, lacerata da un budget insufficiente (nonostante le promesse eclatanti ascoltate durante la pandemia), continua a creare disagi per la cittadinanza, spesso costretta ad attendere ore in pronto soccorso per interventi non urgenti e addirittura mesi (se non anni) per visite specialistiche. A ciò si aggiunge una sorta di delegittimazione della classe medica fomentata dalle diverse teorie del complotto online che hanno visto una vera e propria esplosione in tempo di pandemia. Il tutto aggravato da una costante diminuzione di medici ed infermieri, con soprattutto questi ultimi troppo poco pagati rispetto ai “competitor” europei.
Certo è comprensibile che coloro che si trovano a subire le conseguenze dei disagi della sanità pubblica, il tutto nonostante le tasse non siano certo basse in Italia, siano non poco irritati dalla questione, ma è comunque totalmente inaccettabile il ricorso alla violenza contro coloro il personale sanitario. Il problema in questo caso, visto che la linea di principio non è nemmeno vagamente negoziabile, è come garantire la sicurezza di chi lavora nei nostri ospedali.
Il dispiegamento di forze dell’ordine è praticamente impensabile visto che anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una grave carenza di organico, al più si potrebbe pensare ad un intervento dell’esercito, ma certo una soluzione del genere non può che essere temporanea visti i costi di costanti presidi in ospedale. Tra le altre proposte è anche emerso il daspo per i violenti, che verrebbero così emarginati dalle strutture pubbliche quantomeno per un determinato periodo di tempo; di per sé la soluzione potrebbe anche apparire corretta, ma lascia spazio ad interrogativi complessi riguardo alla gestione del divieto di accesso (chi sorveglierà che gli individui sgraditi non entrino?) e della gestione di casi di emergenza in cui queste persone avessero effettivamente bisogno di cure urgenti (il Giuramento di Ippocrate sfortunatamente non permette di lasciar loro subire le conseguenze delle loro azioni). Un primo passo più realistico potrebbe essere quello di rendere la pena per l’aggressione, al momento di appena 6 mesi nel caso in cui il reo non sia armato, più severa. Dopotutto nella nostra società non dovrebbe esserci spazio per soggetti violenti e che coloro che aggrediscono altri cittadini di norma non passino nemmeno un giorno in cella a riflettere sui loro errori è evidentemente una stortura inaccettabile del nostro sistema penale che peraltro finisce con l’incoraggiare la gente a farsi giustizia da sola, frustrata dalla debolezza dimostrata dallo Stato. Certo è che il cambiamento deve essere prima di tutto culturale ed educativo: viene infatti da domandarsi chi possa aver educato i suoi figli a comportarsi con un simile livello di inciviltà.
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