Dopo lo scandalo Fontana, ecco un volto nuovo per lo scranno di Ministro della Cultura: Alessandro Giuli, neolaureato (ma quasi cinquantenne) e fieramente di destra. Ed alla domanda di alcuni giornalisti che si chiedevano da cosa dipendesse la sua scelta di schieramento la risposta è stata: “E’ una scelta naturale. Era nel mio pedigree. Ho avuto un nonno monarchico e da parte paterna un nonno che ha fatto la marcia su Roma, che ha portato la famiglia a Salò. E anche un padre che ha lavorato nel sindacato della destra sociale, insomma tutto il pedigree”. L’appartenenza politica non viene definita in questo caso, come ci potremmo aspettare, dai valori e dagli interessi del singolo (quantomeno non solo), ma anche da qualcosa che non possiamo controllare come la nostra ascendenza. È inutile nascondersi dietro alla foglia di fico, l’ambiente familiare in cui si cresce influisce, non solo in Italia, profondamente sui valori e quindi sulle scelte politiche dei singoli e spesso porta a tramandare di padre in figlio le idee dei propri avi.
Se questa tendenza, come si è accennato, non è un fenomeno esclusivamente italiano, va detto che in Italia il fenomeno è profondamente radicato e lo è da tempi antichissimi. Facendo qualche passo indietro sino all’età comunale, troveremo che una larga parte della popolazione, tutta quella che si interessa ed è coinvolta nella politica cittadina, è parte dello schieramento dei Guelfi o dei Ghibellini. Questi schieramenti già ai tempi di Dante, alla fine del XIII secolo, erano stati per lo più svuotati del loro vero significato e rappresentavano solo gruppi con interessi comuni, eppure tra le due “maledette partes” (come le avrebbero chiamate al tempo) continua a scorrere sangue a fiumi e l’appartenenza alle due fazioni è determinata quasi sempre, salvo rari cambi di casacca, da un pedigree che torna indietro di svariate generazioni. Ai tempi del Cavalcanti sono tutti d’accordo: le partes sono il male, ma ormai non c’è modo di liberarsene. E poco cambia se una delle due prevale, l’altra tornerà dopo qualche anno di silenzio o i vincitori si divideranno in due (si pensi ai Guelfi Bianchi e Neri di Firenze) perché permangono interessi contrastanti nella gestione delle immense ricchezze generate dai Comuni. Non dimentichiamo comunque che la fedeltà alla casacca paterna nel Medioevo era accentuata anche dall’ereditarietà dei mestieri, difficilmente il figlio di un cuoiaio avrebbe cambiato rispetto al mestiere paterno, salvo imprevisti.
Riflettendo sulla questione emerge l’evidente contraddizione di un’era che fa della libertà il sommo bene del cittadino, una verità affermatasi come quasi indiscutibile dopo la caduta del Muro di Berlino e dell’URSS, il quale può e spesso cambia mestiere rispetto ai genitori, ma alla fine in genere vota lo stesso partito del padre, anche se paradossalmente sarebbero altri a fare maggiormente i suoi interessi. In un tempo di forte polarizzazione del dialogo politico come il nostro tutto ciò è sempre più evidente e la dichiarazione di Giuli è programmatica e rappresenta una larga fetta della popolazione. In effetti è molto più semplice crescere un figlio imponendo le proprie idee più che favorendo la formazione di un vero spirito critico che permetta invece una scelta autonoma, ma questo rischia di diventare un enorme problema per la democrazia, incancrenita su posizioni desuete (ma anche su interessi attualissimi) e sempre più dilaniata dalle “maledette partes”, così lontane eppure così vicine al cittadino.