L’Italia si trova di fronte a due sfide critiche nel panorama digitale. Da un lato, il nostro Paese investe meno in cybersicurezza rispetto a realtà come Francia, Stati Uniti e Germania, lasciandoci più esposti a rischi informatici. Dall’altro, occupiamo posizioni basse nell’indice DESI della Commissione Europea per competenze digitali. Due aspetti interconnessi che riflettono un problema strutturale, sottolineato dal presidente del Clusit, Gabriele Faggioli, durante il Digital Security Festival.

Questa situazione genera preoccupazione non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche in chi opera come divulgatore o osservatore del settore. Se aggiungiamo la scarsa vivacità del tessuto di startup italiane, il quadro appare ancora più complesso. La mancanza di cultura digitale rallenta investimenti e innovazione, creando un circolo vizioso: senza competenze adeguate, le aziende faticano a comprendere le potenzialità del digitale, a pianificare strategie efficaci e a cogliere opportunità di crescita. Il punto cruciale riguarda le competenze digitali, fondamentali per capire quali tecnologie siano realmente utili per il proprio business. Tuttavia, queste competenze non possono essere appannaggio di una sola figura nell’organizzazione: devono diffondersi a tutti i livelli, dai dirigenti ai dipendenti operativi. Senza una conoscenza condivisa, è facile prendere decisioni sbagliate o basate su mode passeggere.
Un esempio emblematico è l’approccio al metaverso, spesso frainteso e sovrastimato. Molte piccole imprese credono di digitalizzarsi acquistando una presenza nel metaverso, che si rivela poi un’esperienza rudimentale, incapace di generare valore concreto. Questo tipo di spesa inutile non solo sottrae risorse a progetti più utili, ma alimenta anche il pregiudizio che “il digitale non serve”.
Per cambiare rotta, è necessario un approccio strategico che integri tecnologie e competenze. Non basta adottare strumenti avanzati: serve una visione chiara e a lungo termine, in grado di armonizzare ogni livello aziendale. Questo significa:

  • Valutare seriamente l’infrastruttura digitale esistente.
  • Promuovere la formazione continua per dipendenti e dirigenti.
  • Scegliere soluzioni tecnologiche realmente utili, evitando acquisti dettati dal clamore mediatico.

In Italia, molte imprese utilizzano ancora siti obsoleti, piattaforme di e-commerce non responsive e strumenti di comunicazione inadeguati. Colmare queste lacune dovrebbe essere una priorità, prima di pensare a progetti complessi o innovativi. Anche la cybersicurezza soffre di una percezione distorta. Molti imprenditori ritengono di essere al sicuro grazie a misure superficiali, senza comprendere le reali dinamiche delle minacce informatiche. Questo approccio rischia di aggravarsi con l’introduzione di nuove normative, percepite spesso come un onere burocratico piuttosto che un’opportunità per migliorare.
Per recuperare il ritardo accumulato, è essenziale un cambio di mentalità: il digitale non è una semplice spesa, ma un investimento strategico. Le aziende italiane devono abbandonare una visione frammentata e abbracciare un approccio integrato, in cui tecnologia e fattore umano si sostengono reciprocamente. Solo così sarà possibile creare una cultura digitale diffusa, eliminare gli ostacoli al progresso e garantire una competitività sostenibile nel tempo. La digitalizzazione non deve essere vista come una moda, ma come una filosofia aziendale che permea ogni aspetto dell’organizzazione, trasformandola in un motore di innovazione e crescita.