L’Italia produce ogni anno, dopo corsi di studio di laurea triennale e magistrale, tante nuove leve per il settore della cultura, uno dei più vituperati in questo Paese, eppure per occuparsi dei beni culturali spesso demanda l’incarico a volontari meno preparati.
Gli appassionati di storia ed arte almeno una volta nella vita ricorderanno di aver seguito con vivo trasporto una visita guidata all’interno di un museo, magari durante un viaggio di gruppo od organizzato. Non c’è in effetti modo migliore per godere delle ricche collezioni museali nostrane, ma anche all’estero, che affidarsi alle spiegazioni di coloro che sono ben ferrati sulla materia e possono raccontarla e renderla fruibile nella sua pienezza e complessità a tutti.
L’ovvio problema è che assumere del personale qualificato per illustrare le opere all’interno di un museo od una mostra o ancora altri tipi di installazioni o presentazioni ha inevitabilmente un costo non certo basso, che spesso non viene completamente ripagato dalle visite, soprattutto in periodi con un’affluenza minore di turisti. Sfortunatamente per sopperire a questo problema si è giunti ad una soluzione di compromesso che difficilmente può essere ritenuta accettabile: affidarsi a volontari che dimostrino un grado di preparazione minima per poter istruire ed intrattenere gli avventori.
A prima vista potrebbe non sembrare un problema, e di certo non è tra i più gravi di quelli del Bel Paese, ma analizzandolo con maggiore attenzione non possono sfuggire alcune criticità evidenti.
La prima è una questione fondamentalmente di principio: che senso può avere istruire, con un dispendio di risorse, tanti giovani, se poi le loro competenze non vengono richieste in alcuni dei settori in cui potrebbero dare il loro meglio? Certamente chi studia Beni Culturali non lo fa pensando di diventare una guida turistica, né tantomeno per il guadagno che ne deriverebbe, ma affidare al volontariato questo compito ne minimizza inaccettabilmente il valore: perché studiare all’università, se qualcuno che studi da autodidatta può serenamente prendere il tuo posto, senza peraltro averne alcun guadagno materiale?
La questione finisce con l’accrescere lo scoramento per gli addetti ad un settore che si regge sempre più sulla vocazione dei suoi adepti, più che su un effettiva macchina burocratica in grado di accrescere e valorizzare il nostro immenso patrimonio.
La seconda è ovviamente una questione di contenuti: tra coloro che hanno studiato da autodidatti ed all’università non può che intercorrere una distanza di preparazione che rende meno arricchenti le visite per coloro che decidano di visitare i nostri musei, con un calo dell’apprezzamento percepito in generale.
La terza riguarda ancora gli addetti al settore: in un campo in cui, come detto, fare carriera non è affatto semplice, togliere a giovani leve volenterose di mettersi in azione, giustamente retribuiti per i loro sforzi e lunghi studi, la possibilità di farsi notare, fare esperienza del mondo del lavoro ed accrescere il proprio curriculum, nonché immergersi dell’esperienza dell’insegnamento, sembra inspiegabilmente ingiusto.
Non me ne vogliano i volontari, che senz’altro si adeguano alla triste situazione del Paese e cercano di portare un miglioramento alla società sacrificando tempo ed energie, ma il loro sforzo rischia di essere controproducente, dando allo Stato la fuorviante sensazione che quegli studenti, che pure ha formato, in realtà non siano davvero necessari per svolgere uno dei compiti per cui banalmente sono invece i più preparati.
Concludendo, non possiamo far altro che lanciare un appello perché la questione non continui a passare sotto silenzio, ma si dimostri una volontà, anche attraverso i fondi del PNRR, di ridare linfa al settore della cultura italiano a partire proprio dai giovani che ancora desiderano esserne parte attiva.