Ancora una volta l’Italia mostra tutti suoi limiti nella tutela dei suoi giovani con il 23,1% dei cittadini tra i 18 ed i 29 anni che non studiano né lavorano, il 10% in più della media UE (13,1%).
La piaga sociale della fuga di cervelli da anni martoria l’Italia che spende fior di danari per istruire i suoi giovani, spesso peraltro con ottimi risultati, ma non è in grado di capitalizzare su questo investimento, relegandoli a mansioni di secondo piano e scarsamente remunerate e quindi rendendo l’estero decisamente più attraente da un punto di vista occupazionale.
Se il dato è in lieve decrescita, si passa da un 23,7% dello scorso anno ad un 23,1% di questo, non si può comunque parlare di una situazione in effettivo miglioramento. Nemmeno Romania (20,3%), Bulgaria (17,6%) e Grecia (17,3%), gli altri tre peggiori del blocco UE, si avvicinano al nostro record negativo e la distanza con i Paesi più virtuosi è spiazzante (Paesi Bassi 5,5%).
All’interno della Penisola non possono ovviamente marcare le solite differenze a livello regionale e ancora una volta il Sud ha i dati peggiori in assoluto dove si sfonda financo la soglia del 30% (Campania 34,1%, Puglia 30,6%, Calabria 33,5% e Sicilia 36,3%). Un dato particolarmente allarmante in una realtà fluida, dai contorni non semplici da definire.
Male anche il numero di diplomati in percentuale: solo il 76,8% dei giovani è in possesso di un diploma a fronte di una media OCSE dell’85,8%, ancora più ampio il divario se si considerano tutte le fasce d’età in questa analisi (62,7% vs 83,2%).
Ancora una volta ci troviamo insomma a dire che l’Italia non è un Paese per giovani e qualsiasi indicatore statistico punta esattamente in questa direzione; un problema con cui il Governo dovrà necessariamente fare i conti per cercare di arrestare il declino economico, culturale e demografico del Belpaese.