Quando arriverà il robot colf nelle nostre case? Gli esperti di robotica sono prudenti. Ci ricordano che una delle prove più ardue per un robot è prendere un sacchetto di arance senza farne una spremuta, tuttavia concordano nel ritenere possibile l’eventualità di una macchina cosi sofisticata: piuttosto la domanda giusta sta nel cosa ci manca per avere un robot che fa lavori domestici e se ci conviene arrivare a costruirne uno e commercializzarlo. Ci avviciniamo a scenari in cui in cui la combinazione dei progressi nei diversi campi delle AI e della robotica potrebbero aprire scenari ancora più sorprendenti di quelli attuali, modificando ancora più profondamente il contesto nel quale viviamo. Viviamo in una società basata sul lavoro e sulle interazioni umane che producono senso e identità. Una società senza lavoro sarà per forza diversa da quella che conosciamo.
E forse vale la pena di incominciare seriamente a pensare a come si tiene assieme una società non più basata sul lavoro e su come si costruiscono ruolo e identità, immaginando nuovi sistemi di protezione e di coesione sociale, differenti da quelli che sono in parte superati dal cambiamento che corre a grande velocità.
Il 2023 inizia nel pieno della transizione e del cambiamento veloce ed esponenziale con cui abbiamo familiarizzato in questi anni. La novità forse consiste ne fatto che ne siamo ormai definitivamente consapevoli.
Accorgersi che le cose cambiano è difficile se si è parte di quello stesso processo di cambiamento. Si percepisce il movimento, difficilmente si coglie la direzione del cambiamento. Il “presentismo” che secondo molti è la causa della “malinconia” e del senso di insicurezza con cui da anni abbiamo familiarizzato deriva in parte, secondo noi, proprio dalla percezione che tutto cambia a grande velocità e che noi comuni mortali non sappiamo bene dove si sta andando e che ruolo potremo avere nel mondo nuovo che fa parte di un futuro che è dietro l’angolo. Non si tratta di essere apocalittici né integrati, si tratta di fare i conti con processi, sistemi e ambienti che sono imperscrutabili e difficili da comprendere, oltre che da governare. E che si modificano costantemente, alzando l’asticella ogni volta di più.
Città del Messico, 1968. Un ingegnere americano vince la medaglia d’oro di salto in alto volando di schiena a 2 metri e 24 centimetri da terra. Si chiama Dick Fosbury, e viene dall’Oregon. Fosbury è un ingegnere ed è un saltatore, salta di pancia, come tutti, ma incomincia a pensare che il salto ventrale non sia l’unico possibile. Prova a ripescare il vecchio salto “a forbice”, con risultati deludenti, fino a quando, quasi per caso dice lui, tra disegnini e schizzi sulla carte e studi da “biodinamico”, ne modifica la postura e l’inclinazione del corpo. La rincorsa diventa “curvilinea” ed accelerata e l’approccio all’asta viene ribaltato rispetto al metodo tradizionale. Fosbury vince tra lo stupore e l’ammirazione generale, il fosbury flop diventa il modo di saltare. Oggi nessuno si sognerebbe di tornare al salto di pancia, o a forbice. In questa storia però ci sono due dettagli, che si rivelano determinanti. Fosbury studia il suo salto e lo sperimenta partendo dalle sue conoscenze. È un ingegnerie e conosce i principi della dinamica, che sono alla base della sua corsa laterale accelerata e della torsione che consente al saltatore di voltare le spalle all’asta e superarla. Fosbury sperimenta il non convenzionale, partendo da quello che ha a disposizione e ricombinando gli elementi. L’impresa di Fosbury poi è praticamente impossibile senza un materasso morbido dietro l’asta su cui atterrare senza farsi male. Il materasso così come la biodinamica sono gli alleati fondamentali, i fattori “abilitanti”, tecnologie e conoscenze che creano le condizioni per fare cose nuove. Prima del materasso morbido l’atleta atterrava su un letto di sabbia e trucioli di legno, decisamente meno accogliente.
La storia del Fosbury Flop ci insegna anche che l’innovazione deriva dal pensiero lungo oltre che laterale, capace di definire obiettivi a cui tendere con coraggio. Se pensiamo all’ oggi, al presente, e osserviamo il mondo nuovo in cui viviamo, vediamo che la digitalizzazione, che smaterializza le cose e le riduce a dati e a pixel, non ha spazzato via le cose materiali né ha sostituito la fisicità del reale. Andiamo piuttosto verso una progressiva integrazione del reale e del virtuale, in cui conta la capacità di pensare insieme i due spazi e come rendere sostenibile questa nuova realtà nella quale siamo immersi.