Nelle scorse settimane ha tenuto banco il caso dell’apertura di Antonio Tajani, leader di Forza Italia, facente parte della coalizione di centrodestra ora al governo, ad un nuovo sistema di assegnazione della cittadinanza che andrebbe ad integrare l’attuale Ius Sanguinis, ovvero lo Ius Scholae.
Secondo il disegno di legge dell’opposizione, che da lungo tempo si è riproposta di modificare i complessi requisiti di accesso alla cittadinanza, dovrebbe essere sufficiente un ciclo scolastico secondario per ottenerla, ma non è detto che Forza Italia non pensi ad uno Ius Scholae che preveda almeno l’ottenimento del diploma o di due cicli scolastici.
Al momento, invece, per uno straniero residente con continuità sul suolo italiano occorre avviare al compimento dei 18 anni un lungo iter burocratico che, in genere, si conclude con l’approvazione della domanda ed il conferimento della cittadinanza.
Tralasciando le questioni di consenso, ma va detto che secondo recenti sondaggi il 58% degli italiani è favorevole allo Ius Scholae, cosa cambierebbe a livello pratico l’approvazione di una legge simile?
Se la legge entrasse immediatamente in vigore come proposta dall’opposizione ci sarebbero oltre 5 milioni di nuovi cittadini italiani nel breve periodo, il che porterebbe un enorme beneficio alla nostra demografia in crisi. D’altro lato si può obiettare che il grado di integrazione culturale di questi nuovi cittadini rischia di non essere sufficiente e creare ulteriori squilibri e tensioni a livello sociale. Certo è che attendere il conseguimento del diploma o richiedere un ciclo di studi più lungo potrebbe mitigare notevolmente questa controindicazione. Un altro problema che viene portato alla luce da coloro che sono più critici nei confronti della misura è rappresentato dall’impossibilità, una volta ottenuta la cittadinanza, di espatriare eventuali soggetti violenti tra i neo-cittadini, ma contro questa argomentazione basterà ricordare che i rimpatri avvengono già ora estremamente di rado e non sono semplici da portare a termine per ragioni diplomatiche.
E a livello ideale invece? La risposta in questo caso è ancora più delicata e dipende strettamente dalla visione del mondo di chi risponde. Da un lato c’è che direbbe che è ingiusto negare la cittadinanza a chi si è formato come un italiano e spesso si differenzia da un autoctono solo per il colore della pelle (ma spesso neanche per quello), mentre altri potrebbero sostenere che l’italianità, e dunque la cittadinanza, sia un riconoscimento di altissimo valore e che quindi il suo conferimento dovrebbe essere limitato quanto più possibile per coloro che non hanno legami di sangue con la madrepatria. Ovviamente non esiste una risposta strettamente giusta o sbagliata: dipende tutto dalla sensibilità del singolo individuo.
In ogni caso sembra davvero difficile che un governo di centrodestra, che ha fatto di un approccio muscolare all’immigrazione clandestina il suo cavallo di battaglia durante tutte le ultime campagne elettorali, possa varare una legge che allarghi le maglie per l’ottenimento della cittadinanza, piuttosto sarebbe più probabile una caduta del governo stesso sulla questione, se la spaccatura si rivelasse insanabile (cosa che appare però poco probabile). Ma per quanto riguarda invece il futuro, dopo le prossime elezioni, ancora piuttosto distanti, sembra evidente che quest’istanza potrebbe dare vita ad una legge bipartisan che cambi il criterio di assegnazione della cittadinanza agli stranieri e dopo decenni mandi in soffitta lo Ius Sanguinis.