Sono più di 2 milioni i lavoratori che in Italia hanno rassegnato le dimissioni al loro datore di lavoro. Una cifra enorme per un paese dove a “lavorare” sono poco più di una persona su due e dove la disoccupazione e in particolare quella giovanile restano un primato italiano in Europa.
O dove due aziende su tre non trovano lavoratori, o competenze da inserire in organico, ormai su qualunque mansione e su qualunque posizione.
Il fenomeno ribattezzato oltre oceano Great resignation riporta al centro del dibattito accademico e politico il tema del lavoro nelle sue varianti, a partire da quella del lavoro povero. La scarsa partecipazione al mercato del lavoro di fasce sempre più numerose di popolazione rende necessaria la ricerca di nuovi paradigmi necessari a leggere i cambiamenti in atto, che riguardano non solo il mondo del lavoro, ma l’intero immaginario delle persone che lavorano.
Non sappiamo ancora con precisione come cambierà il modo di lavorare e il concetto stesso di lavoro, in Italia così come in Europa e nel Nord America.
Sappiamo che è in corso una fase di profonda trasformazione, o di transizione da un sistema basato sull’analogico e sugli idrocarburi fossili ad un nuovo mondo governato da logiche e da meccanismi di attribuzione di valore molto diversi da quelli di ieri.
Come in tutte le grandi trasformazioni siamo nel pieno degli effetti collaterali e dei movimenti di resistenza. E soprattutto ci dobbiamo misurare con tempi cui non eravamo affatto abituati.
La transizione inoltre è l’altra faccia di una metamorfosi e di un cambiamento fatto di innovazione continua e pervasiva, in grado di ricombinarsi e superare le metriche tradizionali, a partire dallo spazio e del tempo (si pensi al metaverso e alle potenzialità o alla portata di quel tipo di tecnologia): l’innovazione è un processo che non ha per forza un senso ed una direzione definita, la cui velocità dipende in qual ambito si innesta e da quanto è capace di combinarsi con altre innovazioni.
Più che un perimetro possibile per il campo largo in cui opera la tecnologia e l’innovazione forse serve rendere sostenibile e armonico lo sviluppo del digitale con quello delle persone e della comunità. Accettando la sfida di sconfinare nella filosofia e nell’etica, allargando un perimetro e pensando che il mondo si cambia esattamente cosi si mangia un elefante. Un pezzo alla volta.
Giovanni Scarafile è professore di etica del lavoro a Pisa, ha studiato e studia le relazioni negli ambienti di lavoro:
“Il filosofo deve ragionare di etica partendo dal basso, non dall’alto, altrimenti la partita è già persa, ed il fenomeno della grande dimissione non si capisce in alcun modo: le persone si sono stufate di lavorare troppo o di guadagnare troppo poco? Ma come definiamo il troppo e il troppo poco? In relazione a cosa e su quale orizzonte temporale? “
L’Italia ha stipendi tra i più bassi all’interno della UE, per mille motivi e problemi storici mai risolti negli ultimi 30 anni.
Nonostante il problema non sia solo italiano tant’è che il fenomeno della Great Resignation parte dagli USA, di sicuro il tema degli stipendi bassi è politico, non solo economico.
Valorizzare tutte le risorse disponibili resta il segreto di una comunità in salute, che include e si sviluppa. il cambiamento è un processo di partecipazione che serve a condividere una direzione che sia a vantaggio dei molti e non dei pochi.
In questa ottica la partecipazione equivale all’attivazione di una comunità che accoglie e dà opportunità, che promuove e sviluppa le iniziative delle persone, governando e generando meccanismi di redistribuzione, e che vive pensando a quale mondo lascerà a chi verrà dopo.
A chi verrà dopo . Un dovere che non bisogna mai perdere di vista.
PS. A proposito di chi verrà dopo e dell’innovazione digitale “continua” che migliora le nostre vite, fino a sfidare il vecchio concetto del senso comune delle cose, Davide Sisto, tanatologo e filosofo, ricercatore dell’Università di Trieste, ha scritto tre libri sul tema della morte e dell’immortalità digitale,“La morte si fa social”, “Ricordati di me “ e “Porcospini digitali”, tutti e tre editi da Bollati Boringhieri, in cui si ragiona di presente, passato e futuro, di vita Off-line e On-line e di trasformazione dell’umano. Sisto apre un nuovo vaso di Pandora: oggi esistono già le lapidi digitali, con tanto di QR Code, e Facebook incomincia a porsi il problema della demografia, ovvero quello dei profili degli utenti passati a miglior vita, che nel 2050 supereranno quelli dei viventi.
L’immortalità dunque è dietro l’angolo, tanto vale dimettersi e studiare, ricordando la celebre frase del Gramsci filosofo: “studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”.