Sono trascorsi quasi 6 mesi dall’inizio della guerra a Gaza perché il consiglio di sicurezza dell’ONU si accordasse su un cessate il fuoco. I veti incrociati di Russia, Cina e Stati Uniti hanno reso l’operazione complessa e alla fine solo attraverso l’astensione di questi ultimi è stato possibile approdare a questa risoluzione, peraltro tra le vibranti proteste degli israeliani, oltraggiati dalla mancanza di un’esplicita menzione ad Hamas nel testo (che comunque cita come urgente la liberazione degli ostaggi civili, condannando i rapimenti come una forma di guerra contraria al diritto internazionale, con un chiaro riferimento ai civili coinvolti il 7 ottobre).
Sembra però difficile che questa decisione del Consiglio di Sicurezza possa avere conseguenze immediate. Israele ha già pubblicamente dichiarato che ignorerà questa risoluzione e un rilascio degli ostaggi, che costringerebbe Israele a fare un passo indietro per compiacere l’opinione pubblica internazionale, appare altresì impossibile. Lo stallo è destinato a continuare, con la popolazione civile di Gaza a subirne le conseguenze. Per Israele d’altronde non è la prima volta che viene scientemente deciso di ignorare una risoluzione dell’ONU. Un esempio è la risoluzione 242 del 1967 che invitava lo stato ebraico a ritirarsi dai territori occupati nella Guerra dei Sei Giorni e non fu mai rispettata.
Sarebbe però scorretto pensare che questa risoluzione, pur non garantendo una tregua, sia inutile. La posizione di Israele sul piano internazionale inizia a scricchiolare e gli stessi USA hanno richiesto accertamenti sull’utilizzo delle armi vendute al Popolo Eletto. Non è improbabile che per venire incontro alla forte richiesta di pace che arriva da pressoché tutto il mondo i corridoi umanitari possano essere finalmente ampliati per rendere i necessari soccorsi ad una popolazione civile ormai allo stremo, magari con un lieve allentamento sui controlli, finora rigorosi, dell’esercito occupante.
L’unica possibilità di una tregua può arrivare dai colloqui che si stanno svolgendo tra Doha e il Cairo che vedono impegnati i rappresentanti di Hamas e di Israele, ancora però saldamente ancorati su posizioni difficilmente conciliabili, con Hamas che rifiuta addirittura di ragguagliare i nemici sulla situazione degli ostaggi sino al raggiungimento di un accordo. Ma anche questi colloqui non sembrano destinati a portare a una pace duratura o a una risoluzione anche solo parziale dei conflitti tra due Stati ormai sempre più arroccati su posizioni sempre più distanti. Non può stupirci: un secchio d’acqua di certo non potrà spegnere un incendio che divampa da poco meno di un secolo e un mondo sempre più multipolare, dove le grandi potenze non si fanno scrupoli ad utilizzare i conflitti esterni come strumento per accrescere la loro influenza e prestigio, non rende certo più semplici le negoziazioni.