La crisi energetica europea, causata dalle sanzioni emesse contro Russia in seguito all’inaccettabile invasione dell’Ucraina, ha riportato in auge nel dibattito italiano la possibilità di un ritorno al nucleare, una delle forme di energia più pulite a nostra disposizione.
Tra le poche buone novelle derivate dal neonato governo Meloni, una senz’altro è l’attenzione che l’intera coalizione del centrodestra ha dedicato, in forte contrapposizione a tutto il centrosinistra (escluso l’ambivalente Terzo Polo), ad un possibile ritorno dell’Italia all’energia nucleare.
Se, infatti, l’Italia è stato tra i paesi a subire il contraccolpo maggiore dai mancati rifornimenti di gas russo, drasticamente diminuiti, con l’impennata dei costi dell’energia per privati, aziende e pubbliche amministrazioni, al momento non si può far altro che piangere sul latte versato. I nuovi accordi siglati con Paesi del Nord-Africa puntano a sostituire una parte del gas russo con altro gas naturale, ma uno Stato che guarda ad una qualsivoglia forma di indipendenza energetica non può fare a meno che volgersi al nucleare per garantire di non ritrovarsi in una situazione simile a quella attuale allo scoppiare di una non certo improbabile instabilità geopolitica dei nuovi Stati fornitori.
L’energia nucleare, eppure, continua ad essere una questione profondamente divisiva per l’opinione pubblica italiana, sapientemente guidata da due poli sempre più distanti tra loro, principalmente divisa tra coloro che ritengono sia necessario un ulteriore cambio di passo verso le rinnovabili “pure” (eolico, solare, idroelettrico, etc.) e chi più realisticamente guarda all’atomo come appiglio, quantomeno nel breve periodo.
Effettivamente, pur non essendoci accordo assoluto a riguardo tra gli scienziati, la grande maggioranza sembra dar ragione ai secondi, con la possibilità solo per Paesi estremamente ricchi dal punto di vista idrologico e scarsamente abitati (come ad esempio Norvegia e Costa Rica) di permettersi una transizione che non passi per l’energia atomica. Il grosso problema attuale delle fonti di energia solare ed eolica infatti è l’incostanza con cui si può attingere a queste energie, dovuta a fattori climatici inevitabili e non pienamente prevedibili. Un pregio assoluto invece del nucleare è che, come per i combustibili fossili, le centrali sono in grado di produrre costantemente energia a pieno ritmo, evitando dispendiosi ed inefficienti sistemi di stoccaggio. Spesso, infatti, si sente dire in giro che coprendo il Sahara di pannelli fotovoltaici si potrebbe produrre una quantità di energia adatta a sostentare l’intera popolazione, ed è fondamentalmente vero, non fosse che le scorte di litio (materiale fondamentale per la produzione di batterie per lo stoccaggio di questa energia) planetarie non sarebbero sufficienti a dar luce a questo progetto, già di per sé complicatissimo (per non dire utopico) per questioni infrastrutturali e geopolitiche. Lo stesso Elon Musk, il re delle auto elettriche, ha dichiarato che sarebbero necessarie 100 delle sue Gigafactory (delle dimensioni di 170 campi da calcio ciascuna!) per produrre le batterie necessarie a fornire energia ai soli USA per appena un’ora.
Se poi andiamo a vedere l’efficienza della quantità di energia prodotta rispetto all’area utilizzata risulterà ancora più semplice comprendere come una società sempre più energivora non possa che far ricorso alla fissione nucleare, in grado di rendere al meglio sia dal punto di vista dello spazio (vedi grafico 1) che dei costi, visto che dopo lo sforzo per la costruzione i costi per le materie prime sarebbero decisamente minori rispetto ai vecchi ed inquinanti combustibili fossili. E pure le materie prime per la creazione dell’impianto rispetto all’energia prodotta sono di molto minori (vedi grafico 2).
La speranza di tutti noi resta ovviamente la fusione nucleare, tecnica in grado di sprigionare temperature ancora più elevate e quindi dal rendimento energetico ancora maggiore, ma, nonostante i grandi passi avanti degli ultimi tempi, sembra ancora lontano il giorno in cui questa forma di energia sarà disponibile e sicura: occorrerà aspettare ancora almeno tre o quattro decenni, cruciali nella lotta la cambiamento climatico.
Dulcis in fundo, l’argomento che più scalda gli animi quando si torna a parlare di energia atomica, ovvero la sicurezza. L’impatto della tragedia di Chernobyl ha lasciato un sentimento profondo di sfiducia verso questa forma di energia, giustificabile, ma che deve assolutamente essere razionalizzato. Infatti, oltre al fatto che molti dei danni dovuti all’incidente ucraino (Paese dove peraltro tutt’ora sono in funzione centrali nucleari) furono dovuti ad una reazione impacciata e volta principalmente a salvare la faccia a livello internazionale dell’URSS, è completamente illogico non tenere in conto che i progressi tecnologici hanno portato ad un livello di sicurezza elevatissimo per questo genere di centrali, come dimostra chiaramente l’incidente di Fukushima: nemmeno un terremoto ed il conseguente maremoto hanno potuto portare ad un incidente tanto grave da uccidere dei cittadini, nonostante le contingenze abbiano reso necessaria l’evacuazione di circa 184mila persone.
Visti i quasi decennali tempi di costruzione, risulta dunque indifferibile la costruzione di nuove centrali che porterebbero non solo benefici alle tasche dei cittadini, con bollette decisamente più basse, ma anche all’ambiente, visto che sono già stati trovati dei metodi per smaltire le scorie in modo sicuro e che questa forma di energia non produce CO2.
Auspichiamo dunque che il Governo fruisca dei fondi del PNRR ed agisca repentinamente, anche coinvolgendo ed informando il più possibile un’opinione pubblica che si nutre di pregiudizi, sulla questione che, se portata a termine in modo compìto, potrebbe essere già il suo più grande lascito per le future generazioni.