Articolo in collaborazione con ilMondoNuovo.club.
Se tornassi indietro di 30 anni e dicessi ad un qualsiasi cittadino non esperto in bioscienze che nel futuro da cui provengo siamo in grado di “creare” bistecche in laboratorio senza passare da un animale vivo, probabilmente mi prenderebbe per pazzo, o per un abitante del 3000. In realtà già dagli anni ’50 si esplora l’idea di coltivare carne in laboratorio e oggi non solo è possibile, ma è già stato fatto e replicato, aprendo le porte ad un intero nuovo mercato che potrebbe valere, secondo le stime più ottimistiche, 25 miliardi di dollari nel 2030. A Singapore ci sono turisti che si recano apposta nell’unico ristorante “Eat Just” al mondo (maggiore produttore statunitense nel campo della carne a base cellulare, da non confondersi con il delivery service italiano Just Eat) per assaggiare questo nuovo tipo di pietanza. Se infatti Singapore è l’unico Paese al mondo dove è possibile commercializzare la carne coltivata, gli USA, Hong Kong, e quindi la Cina, e molti altri Paesi anche in Europa si stanno muovendo per cercare di svilupparlo e primeggiare in questo nuovo business per trarne il massimo vantaggio non solo economico, ma anche strategico.
Ma che cos’è la carne coltivata? E perché la comunità scientifica non si riferisce ad essa come “sintetica”? Ebbene Winston Churchill negli anni ’30 rifletteva sul fatto che allevare un pollo per estrarne poi una parte da mangiare e buttare il resto fosse uno spreco e si chiedeva se saremmo stati mai in grado di semplificare questo passaggio allevando direttamente delle cosce di pollo: in un certo modo è esattamente quello che è avvenuto. Attraverso le cellule staminali, ovvero delle cellule particolarmente duttili e non ancora specializzate nel loro ruolo, è infatti possibile modulare la crescita cellulare di un campione, attraverso l’utilizzo di complessi macchinari e particolari nutrienti, che replichi in tutto e per tutto le cellule che compongono una bistecca. Queste cellule, che sono milioni, diventano quindi una sorta di carne macinata pienamente edibile e, se lo si desidera, ricomponibile e “stampabile” nella forma preferita. Va detto che si tratta ancora di una tecnologia in fase di sviluppo e la produzione su larga scala è destinata a richiedere ancora un buon quantitativo di tempo, ma le possibilità davanti a noi sono incredibili. La carne quindi non è sintetica perché viene prodotta secondo principi naturali, semplicemente attraverso l’ausilio di macchinari umani, una sorta di incubazione artificiale (che non dà al mondo bambini sintetici) per bistecche. Un altro aspetto da considerare sarà quello ambientale, infatti produrre carne ha un notevole costo ambientale (decisamente più elevato che coltivare verdure), ma al momento la carne coltivata non offre un’alternativa più sostenibile in tal senso, con consumi energetici stimati in una ricerca della UCLA da 4 a 25 volte quelli del metodo tradizionale. Chiaramente per ora qualsiasi ricerca non può che essere effettuata su processi ancora in fase embrionale, ma sicuramente questa sarà una criticità su cui i ricercatori dovranno lavorare non poco per rendere questo prodotto più del giocattolo per ricchi che è attualmente, ma non ci sono motivi per credere che non siamo sulla strada giusta. Anche se questa strada è disseminata di interrogativi a cui non è semplice trovare risposta.
E in Italia? Ieri il Parlamento Italiano è stato il primo al mondo a vietare sia la vendita che la produzione di questo alimento, una scelta controversa e difficile da spiegare, che in tutta probabilità punta a tutelare il mercato delle eccellenze alimentari di cui l’Italia notoriamente si fregia. Va comunque detto che l’opinione degli italiani su questo tipo di alimento è perlopiù negativa, con ben 3 italiani su 4 che non si dichiarano disposti a sostituire la carne prodotta secondo il metodo tradizionale con quella da laboratorio, e dunque non dovrebbe stupirci che un Governo eletto dal popolo si faccia interprete dei suoi umori. Sarà stato un errore? Ai posteri l’ardua sentenza.