Ha destato scalpore la notizia dell’arresto in Francia di Pavel Durov, fondatore della nota app di messaggistica Telegram. Seppure dopo i primi colloqui gli sia stata concessa la libertà condizionata a fronte di una cospicua cauzione da 5 milioni di euro (non certo un problema per un magnate della tecnologia multimiliardario), il suo caso è ancora ben lungi dall’essere archiviato, con gravi capi di imputazione che lo vedrebbero reo di “aver lasciato compiere attività criminali” sulla sua app.
E in effetti Telegram è una vera manna per le diverse organizzazioni criminali alla ricerca di un social attraverso cui comunicare in tutta segretezza, dacché l’app di Durov è l’unica che non consente ai diversi Stati di accedere ai dati criptati presenti al suo interno, garantendo un completo anonimato ai suoi utenti.
Nonostante tutti i problemi che possono derivare da un social privo di alcun tipo di moderazione quale è Telegram, una vera propria Tortuga nel mare di Internet, l’opinione pubblica resta profondamente divisa sulle effettive responsabilità di questo multimiliardario, che già in passato aveva avuto problemi a causa del suo comportamento. Durov è infatti un vero e proprio esule dacché nella sua madrepatria, la Russia, non è stato affatto gradito dal presidente Vladimir Putin il suo rifiuto di condividere i dati degli utenti iscritti al social che aveva fondato in precedenza, VK. Questa sua ostinazione a proteggere i dati dei suoi utenti ad ogni costo gli ha accattivato in effetti la simpatia di una larga fetta di pubblico, in particolare di coloro che sono meno propensi a dare fiducia alle istituzioni. Al contrario, non sono nemmeno pochi a sostenere che la responsabilità per i diversi crimini, che vanno dalla pirateria informatica al terrorismo, compiuti utilizzando la piattaforma come base e strumento di comunicazione sia almeno in parte direttamente di colui che ha messo a disposizione l’applicazione (e che si rifiuta di moderarla).
Non è semplice ovviamente stabilire chi in questa contesa abbia ragione o torto. Qualsiasi tipo di social privo di moderazione si presta in effetti a storture per sua stessa natura, ma il fatto che taluni si avvalgano di Telegram per svolgere azioni illegali non significa necessariamente, a mio parere, che la colpa debba ricadere sul suo fondatore. Banalmente, se Telegram fosse effettivamente ritenuto uno strumento sufficientemente pericoloso per il benessere pubblico, sarebbe bastato ai legislatori dei vari Stati che vi si oppongono bandire l’app dagli store nazionali, rendendo estremamente più complesso raggiungerla. Implicare che Durov sia responsabile penalmente dei crimini compiuti dai suoi utenti perché ne protegge la privacy, questione peraltro insita nei termini e nelle condizioni di Telegram, sarebbe un po’ come ritenere Mercedes responsabile degli incidenti stradali di chi guida oltre i limiti di velocità. Certo il mezzo offerto permette di infrangere la legge, ma è stato distribuito legalmente attraverso un canale di vendita su cui lo Stato ha comunque controllo. Sia chiaro: infrangere i limiti di velocità, per quanto pericoloso, non è paragonabile all’organizzazione di attentati terroristici o ad affiliazioni alla criminalità organizzata, ma il principio resta lo stesso.
Nonostante in linea di principio l’idea sia molto interessante, sembra dunque che il mondo non sia ancora pronto per un social del tutto privo di moderazione. Una simile applicazione finisce per prestare davvero il fianco alla pirateria e ad altri reati, ma ribadisco che questo non significa che il creatore sia penalmente responsabile di queste storture. Verificata la loro presenza starà al legislatore definire nuovi strumenti per bloccare la piattaforma o obbligarla a modificare i termini di servizio per garantire allo Stato l’accesso ai dati e quindi ad un maggiore controllo sulle attività svolte attraverso essa. In ogni caso tra non molto sarà un giudice ad esprimersi in merito ed il suo parere sarà sicuramente il solo che alla fine potrà effettivamente contare.